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a:Redazione AIVS <redazioneaivs@gmail.com>
data: 08 maggio 2018 11:34
oggetto
firmato da: virgilio.it
...omissis..
Vorrei solo che queste persone si comportassero come le altre comunità per tossicodipendenti, con trasparenza. Non voglio che chiudano, ma che capiscano che i loro metodi non sono educativi. Nel territorio dove hanno la sede, sono presenti dagli anni ’80, comunque, per quel che so, come comunità non sono la prima scelta dei Sert. Per l’igiene, le norme antincendio e cose simili ricevono dei controlli; non so se qualcuno dei Servizi sociali abbia mai verificato come stanno psicologicamente gli ospiti e i volontari, se sappiano o meno che ci sono alcune mamme straniere nelle case italiane che non vedono i figli piccoli per mesi, perché stanno in un altro Stato. Non sono presenti operatori o educatori, se qualche psicologo si offre di aiutarli lo mandano a “zappare nell’orto” – parole loro. Spesso, chi entra come volontario in questa comunità ha un familiare con problemi di dipendenza. Ti promettono: “Ci pensiamo noi”, “sei nel posto giusto”, “non ti preoccupare”; ti dicono: “Tu prega, vedrai che entra in comunità”, “vedi, io sono entrata/o come esperienza, poi è entrato mio fratello/figlio”. Preciso che della frase ‘esperienza di volontariato’ omettono la parte ‘di volontariato’, chiamandola solo “esperienza”, creando già un’indeterminatezza del tuo ruolo lì dentro. Prima di entrare sono stata obbligata a fare le stesse analisi che fanno fare agli ospiti tossicodipendenti, è stato umiliante e imbarazzante – ovviamente i valori erano tutti negativi; mi hanno anche richiesto il certificato dei carichi pendenti, così mi sono recata al Tribunale e l’ufficiale si è stupito che avessi bisogno di questo tipo di certificato, dato che non c’era nessun processo che mi riguardasse. È lecito chiedere questo tipo di informazioni personali? Non sarebbe stata sufficiente un’autocertificazione? La casa dove stavo era esclusivamente femminile, con una responsabile. Da subito hanno sequestrato il mio cellulare, il portafoglio, i miei documenti, anche il passaporto (erano in una stanza-ufficio chiusa a chiave), la patente me la facevano tenere solo quando avevano bisogno che guidassi. Alla domanda su quali fossero le regole, mi è stato risposto: “Ti devi fidare”; se chiedevo spiegazioni: “Capirai in futuro”. Se esprimevo un’opinione diversa dalla loro mi veniva detto: “Non è così”, “non è la verità”, “gli altri (cioè loro!) hanno sempre ragione”, “la comunità non sbaglia” e, se insistevo a volerne discutere, chiudevano lì il discorso andandosene. Usavano frasi fatte come: “Cos’è più importante, l’amicizia o avere ragione?” così mi inducevano a desistere da ogni contestazione, portandomi a credere di essere in torto, che ero una persona “orgogliosa”. Dopo il 1° mese - durante il quale cercano di convincerti che hai bisogno di stare in comunità perché sei pieno di problemi che non sapevi di avere - si svolge quello che chiamano ‘colloquio’, in cui decidi (o meglio, decidono per te!) se proseguire o andare via; un dottore amico loro ha guardato i documenti richiesti e, nonostante il mio certificato medico di perfetta salute, mi parlava come se fossi lì per una qualche patologia depressiva. (Una mia conoscente grafologa mi ha assicurato che la mia è la scrittura di una persona sana, non sono presenti segni depressivi). Contemporaneamente, in un’altra stanza, stavano colpevolizzando i miei familiari, poi li hanno fatti venire nella stanza dov’ero io e questo medico ha detto: “Per 6 mesi non la vedrete”, al che mio fratello è saltato sulla sedia: “Come non posso vedere mia sorella!”, allora lui ha balbettato qualcosa: “no, non volevo dire…” non ricordo le parole esatte. Ho pensato: “Ma come? Decido io quanto voglio stare!”, però non sono riuscita a dire niente. Mio padre e mio fratello avevano fatto un lungo viaggio, non ci hanno permesso nemmeno di sedere vicini a tavola a pranzo e siamo riusciti a malapena a salutarci. Visto che mi adattavo malvolentieri alle loro imposizioni, la responsabile mi ha consigliato di cominciare a prendere delle medicine prescritte ad un’altra ragazza dicendo: “Vedi, a lei hanno fatto bene queste medicine”, al mio deciso rifiuto, mi ha detto che ero “maliziosa”, che loro lo facevano “per il mio bene”; non me l’ha più proposto. Una sera, a tavola, mi ha chiesto di elencare gli aspetti negativi di una ragazza, io mi sono rifiutata elencando solo gli aspetti positivi, allora ha cominciato a offendermi e deridermi per un quarto d’ora: “Che schifo essere una donna così egoista!”, “sei infantile, ti vado a prendere il ciuccio (mimando il gesto) e il pannolino!”, “tu non cammini”, “tu non sei risorta”, etc. Spesso le umiliazioni verbali della responsabile sulla malcapitata di turno avvenivano in occasione dei pasti e, solitamente, seguiva una convocazione nella sua casetta, dove continuava a rimproverarti, a volte in presenza di un’altra. Una mattina sono arrivata qualche secondo in ritardo a colazione perché ero stata l’ultima della fila in bagno e ho dovuto confessare che mi ero attardata perché stavo a “specchiarmi per la mia vanità” anche se non era vero. Siamo state costrette a tagliare i capelli, alcune delle ragazze anche molto corti, per sottolineare la distanza da prendere dalla vita di prima. Sono stata buttata giù dal letto l’unica volta che mi sono rifiutata di alzarmi alle 2 di notte per l’ora di preghiera del sabato; le altre notti non è obbligatorio alzarsi ma fortemente consigliato (es.: se ti comporti male è perché la notte prima non ti sei alzata per pregare, mentre se ti sei alzata e ti comporti male lo stesso vuol dire che la notte “hai pregato male”). Una volta ho accompagnato una ragazza dal medico, non mi sembrava vero di leggere i titoli del telegiornale che scorrevano sullo schermo della sala d’aspetto, anzi mi sa che ho anche confessato questa mia “curiosità” di aver letto notizie esterne alla comunità! Sono potuta andare a casa una prima volta per rinnovare la patente; al mio ritorno, invece di chiedermi com’era andato il lungo viaggio, la responsabile mi ha ripresa perché indossavo i pantaloni. Poi, alla presenza di due nuove arrivate, una ragazza mi ha chiesto: “Vero che fuori sono tutti tristi?”, al che ho risposto “no”, così lei ha provato a chiedermelo di nuovo, soppesando le parole: “Vero che fuori hai visto solo persone tristi?” e io ancora “no”. Per queste mie disobbedienze ero chiamata “pezzona”, le “sorelle” mi davano della “stupida” o peggio, una ragazza si è permessa anche di sconsigliarmi di avere figli. La responsabile mi urlava: “Solo noi ti potevamo ospitare!”, “sei una poveraccia!”, “noi ti sopportiamo!”, “la comunità funziona, sei tu che non funzioni!”, “rovinerai la vita ai tuoi figli!”, e anche: “Vai a morire a casa tua!”; e chi sta con me dev’essere “un malato psichiatrico”; poi offese del tipo: “vedi, tu, come dire, sei un po’… debole mentale”, “non distingui il bene dal male”. Negava che le umiliazioni in pubblico fossero attacchi personali, mi diceva che avevo bisogno di essere sgridata, così dopo mi comportavo bene. Due o tre volte l’ho accompagnata in una piscina pubblica, e lei: “Che dono, vieni in piscina… Non che te lo meriti!”. In un solo caso, nella sua casetta, controllando che non ci fossero le ragazze presenti, mi si è imposta con arroganza molto vicina alla faccia e ha scandito bene le parole: “Tu dovresti baciare la terra dove cammino!”. Altre frasi della responsabile, a una ragazza che aveva la punizione del silenzio: “Sei una cacca!”; a una che aveva sbagliato a fare le porzioni nei piatti: “Tuo marito ti picchierà!”, “i tuoi figli si drogheranno!”; a chi era lì, come me, solo come ‘esperienza’, diceva: “Era meglio che ti drogavi!”; a un’altra che se continuava così sarebbe andata all’inferno. Con riferimento alla precedente email, volevo dire che c’è anche cibo scaduto (per es. yogurth e scatolame) che, se è ancora buono si mangia, mentre se è andato a male si butta; ma il cibo scaduto è colpa dei negozi che glielo portano. Mentre la responsabile mangiava i suoi cibi personali, per i suoi problemi di salute, noi dovevamo finire quello che c’era nel piatto, anche se era obiettivamente troppo; una notte ho rimesso, un’altra sera ho sofferto d’indigestione, e non mi potevo sedere sul letto perché quei letti a castello sono così bassi che chi sta sotto non può sedersi, e come lunghezza io ci stavo perché sono piccola, ma le ragazze alte devono dormire tutte rannicchiate; al contrario, la responsabile dorme su un comodo matrimoniale! Se ti lamenti per un’indisposizione, ti dicono che vuoi attirare l’attenzione e che “non sai soffrire”. Un giorno avevo un forte mal di testa, ho chiesto di potermi stendere qualche minuto sul letto, ma una ragazza ha cercato di impedirmelo e mi ha tirata su di peso. È successo anche che avevo bisogno di una visita medica urgente, avevo un’emorragia da un mese!, e loro lo sapevano, ma non mi potevo lamentare perché bisogna “soffrire in silenzio”; ero sempre più debole, alla fine mi sono dovuta arrabbiare per poter contattare la mia ginecologa. Ho avuto così il ‘permesso’ di andare a casa qualche giorno; sto ancora curando, a distanza di quasi tre anni, la ciste ovarica che mi è venuta per via di quella emorragia. Non sono la sola della casa ad aver avuto alterazioni del ciclo, una ragazza ha smesso proprio di averlo. Un giorno ho saputo che mio zio era deceduto, così ho detto a una ragazza: “Sono triste perché non ho potuto salutarlo”, ma lei diceva che ero io che stavo male, che non ero triste per lui, e a niente è servito protestare che ero in lutto, che volevo bene a mio zio, non mi hanno permesso neanche un po’ di tempo per piangerlo. Quando compariva il cartellone con due o tre nomi coperti collegati ad altrettante case, stavamo tutte con l’ansia di essere fra quelle trasferite. Dopo un anno che ero lì, la responsabile mi ha detto “Come ti sentiresti se ti trasferissimo in un’altra casa, lontano da qui?”, che suonava come un avvertimento. Ho avuto paura, così ho approfittato della possibilità di prendermi un po’ di tempo per pensare se continuare a stare lì, e sono andata a casa, promettendo (non molto convinta) che sarei tornata più decisa a “camminare”. La responsabile mi ha consigliato di non parlare con la mia famiglia o amici di quello che succedeva nella casa “perché loro non capiscono, perché non hanno fatto la comunità”. Volevano che telefonassi spesso per far loro sapere come stavo, cosa facessi, chi c’era lì con me. Dopo un mese l’ho chiamata per dirle che sarei tornata solo a prendere i miei vestiti, allora ha alzato la voce dandomi della “disonesta”, cominciando a blaterare “noi ti abbiamo salvato la vita!”, etc… L’ho lasciata parlare per un po’ poi ho alzato la voce anch’io, dicendole: “Sono stanca di stare lì con l’ansia di sbagliare sempre! Non ce la faccio più! Vengo solo a riprendere le mie cose!”. Quando sono arrivata, il tono nei miei confronti era cambiato, si sforzavano di essere gentili; a cena ho dovuto ascoltare i loro ultimi consigli (es. “non troverai fuori amiche vere come noi”). In quei giorni, nella casa era ospite un’adolescente (che sarebbe dovuta essere invece a scuola!) la cui presenza immagino non fosse segnalata al Tribunale dei minorenni (per stessa confidenza fattami da una delle ragazze: “Non si potrebbe fare”, così avevano chiesto al genitore di firmare un foglio dove dichiarava di essere d’accordo che la figlia stesse per un periodo nella casa). La sera, la responsabile mi ha detto, con tono canzonatorio, non come delle scuse sincere: “Se non ti sei trovata bene, scuuusa!”. Poi: “Ti abbiamo sopportato!”, “sei stata difficile”, “non sei pronta”, “non è così che si fa la comunità”, etc. Quando ho potuto prendere la parola, le ho detto: “Le persone che mi vogliono bene pensano che sto uscendo da una setta.” Dopo qualche attimo di silenzio ha risposto: “Anche la mia famiglia me l’ha detto”. Ho pensato: “Ehi, aspetta! Non sono l’unica ad averglielo detto?! Quindi altri lo pensano e gliel’hanno fatto notare?!”. E ha continuato: “Non so cosa hai raccontato a casa!”, “ti hanno fatto il lavaggio del cervello!” (i miei familiari!), “è la tua mente malata”, etc. Quando la mattina andavo via, mi ha detto: “Noi ci siamo, più avanti se vuoi puoi tornare qui, così ti scusi bene” (di cosa?!). Da come mi guardavano le ragazze, probabilmente erano state istruite a non prendere esempio da me, qualcuna scuoteva anche la testa riguardo alla mia decisione di andarmene. Quand’ero arrivata la prima volta portavano in tre le mie valigie, ci mancava che mi portassero anche in braccio, mentre il giorno che me ne sono andata mi hanno lasciata lì in stazione come si abbandona un cane, senza aiutarmi a portare le valigie, e non hanno neanche chiamato per sapere se fossi arrivata a casa (erano 8 ore di viaggio in treno). La mia esperienza è limitata a una delle loro case, riguarda i modi di una specifica responsabile, non so se nelle altre case sia meglio o peggio. Dicevano: “Preghiamo per quelli che non abbiamo potuto aiutare”, quindi presumo ci siano altre persone deluse come me da questa comunità. Per me è stata un’esperienza traumatica, ho subìto un attacco sistematico alla mia autostima; tornata a casa piangevo, ho perso peso. Mi capita di sognare che sono ancora lì.
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Oggetto Fagioli e fagiolini
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Messaggio Vorrei sapere se potete aiutarmi per un familiare caduto nella psicosetta in oggetto a Roma. Grazie
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Inviato il: 7 September, 2017
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Messaggio Salve, ho conosciuto questa pratica nel 2003, poi sono diventato membro nel 2005, prima di incominciare, nella mia vita andava tutto abbastanza bene, con questo non voglio dare colpe a nessuno, ma credo che la sgi porti sfiga in quanto appena un anno dopo ricevuto il gohonzon, mi e venuta a mancare una generazione di parenti, compreso mio padre, e tra l altro si e sviluppata anche una malattia in mio figlio. nell ambiente soka sono sempre stato denigrato, giravano vocine sul mio conto riguardo il mio passato, perchè mi fumavo le canne(spinelli), e queste calunnie sono state messe in giro da una signora oggi responsabile di capitolo che nella città in cui vivo e risaputo essere una gran cocainomane, quindi (che cazzo vuole da me?) Vi e un sacco di cattiveria, addirittura mi hanno detto che se riconsegno il gohonzon questa azione mi porterà sfortuna per il resto della vita. Allora, prima che io divento un serial killer e inizio veramente a fargli del male, vorrei sapere se voi potete aiutarmi. Considerate che codesti personaggi, che per me sono solo vampiri ladri di energia, me ne hanno fatte subire di tutti i colori. Ora non ne posso più in quanto quando ti incontrano ti fanno passare da scemo ridendoti in faccia e guardandoti dall alto al basso. Io come persona sono molto buona e sempre disponibile, e il mio carattere, ma tutto a un limite. Potete darmi maggiori info in merito la consegna del gohonzon? E potete dirmi per quale motivo quando incontro qualche imbecille della soka mi si ferma a fissarmi come se mi lanciasse delle imprecazioni. Ho seriamente paura di cominciare a vendicarmi, quando qualcuno si approfitta del buonismo di un altro e lo fa passare per chi non è, e racconta frottole sul suo conto, poi tutta la bontà si trasforma, e io tutti i giorni sto pensando a come iniziare ad abbarterli senza che pensino a me. In attesa di una vostra gradita risposta colgo l'occasione per porvi cordiali saluti.
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Inviato il: 29 August, 2017
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Messaggio Salve mi sono imbattuto in un gruppo di Evangelisti capitanati dal Ministro e pastore Dario Scuoppo . L anno scorso hanno tenuto un importante incontro qui a Roma dove hanno fatto in piena libertà delle guarigioni di persone da tumori e malattie varie . Inutile dire che si trattava di messe in scena , nel frattempo chiedevano offerte , vi assicuro che in tutto il palatenda strisce hanno riempito sacchi di offerte . Vi scrivo chiedendovi di contattarmi per spiegarvi meglio la situazione , sperando in una vostra collaborazione per segnalare questi soggetti pericolosi che abbindolano le menti delle persone più deboli . Grazie Sergio.
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Inviato il: 2 August, 2017
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